Summary.
Enya, or, better, Eithne Ni Bhraonain
(one of the Clannad family),
concocted a potion of Celtic-like melodies, exotic rhythms, neoclassical
electronics and angelic whispers that would be hugely influential, particularly
on new-age music (which, in turn, was also her main influence).
Her solo debut, Enya (1987), highlighted her talent for composing
catchy and celestial melodies, embellishing them with all sorts of
crescendoes and bridges, and adding march-like tempos to them.
The symbiosis between her childish tone and
Nicky Ryan's meticulous, almost orchestral arrangements was magic.
Watermark (1988) refined the idea, increasing the similarities of
Enya's tunes (broadly based on nursery rhymes and lullabies) with
madrigals, vespers and mottets of the Middle Ages and of the Renaissance,
while at the same time increasing the doses of exotic ingredients.
Rather than speculating on the hummability of the tunes, Enya and Ryan
bestowed on them a lyrical, austere, solemn and ethereal quality.
They also introduced a technique that was pure avantgarde: bring the tune to
a standstill, until it becomes abstract sounds in slow, majestic motion.
The melody then disappears, but only to reappear after lengthy pauses of
immaculate ecstasy.
Enya's sound continued to "faint", reaching a sort of coma on the even more
ornate Shepherd Moons (1991) and The Memory Of Trees (1995).
But her fundamental gift remained the melodies, as proven by
the sublime carillon of Only If (1997).
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La cantante irlandese Enya Brennan (o, piu` correttamente, Eithne Ni Bhraonain)
inizio` la sua carriera
musicale nel 1980 nei Clannad, un gruppo storico del revival Irlandese in
lingua Gaelica. Dopo due anni lascio' il gruppo per cimentarsi in composizioni
contrassegnate da un vocalismo tanto solenne e nobile quanto lirico ed etereo,
e da armonie sintetiche (ispirate alla musica classica) tanto austere quanto
maestose ed eteree, prossime a quelle meditative della new age.
Sul primo album, Enya (BBC, 1987), riedito come The Celts (WEA, 1992),
Enya conio` la tecnica che avrebbe fatto la sua fortuna:
utilizzare strumenti tradizionali
irlandesi, la chitarra elettrica, il sintetizzatore e il basso,
e soprattutto i vocalizzi sovrapposti in moltitudini di eco e contrappunti,
per evocare paesaggi magici e arcaici.
The Celts e' il brano, tratto da una serie televisiva,
che la rese celebre in Irlanda.
In questi ritornelli infantili (il piu` esplicito e` Fairy Tale,
ma anche Boadicea, canticchiata a labbra chiuse)
si sublima l'arte delle ninnananne, dei
girotondi e dei carillon, ma con il tono austero della musica classica.
La prossimita` con il madrigale, il vespro e la song rinascimentali e`
evidente in arie solenni come I Want Tomorrow, Triad,
To Go Beyond.
L'aspetto piu` originale e personale dell'arte di Enya nasce proprio
dal "rallentare" quei madrigali fino a farne suoni astratti in lento, maestoso
movimento. La qualita` melodica, allora, si spappola e riaffiora soltanto
dopo lunghe pause di pura estasi.
Acquarelli meditativi come
Aldebaran (vocals fluttuati fra le nubi compongono melodie angeliche),
The Sun In The Stream
(con pianoforte e cornamuse in primo piano),
Portrait (una sonata per pianoforte con sezione d'archi sintetizzata),
propongono un intimismo soffuso
e sorridente che ha qualcosa di umile, rurale e francescano, in forte
contrasto con la musica rumorosa dei suoi tempi.
Enya compone tutte le musiche e suona tutti gli strumenti. Nell'arrangiamento
l'aiuta Nicky Ryan.
Watermark (WEA, 1988), ricco di ballate meticolose e intensamente cromatiche,
talvolta quasi sinfoniche, sempre epiche e impalpabili, rappresenta uno sforzo
piu` classico che pop. Enya intuisce che il suo folk astratto ha un appeal
molto superiore a quello del suo retroterra culturale. Architettando le sue
composizioni in maniera piu` orchestrale, accentuando la componente minimalista
delle armonie, rallentando ulteriormente i ritmi, protendendo in maniera ancor
piu` angelica le sue vocali sui suoni sofficissimi degli strumenti, Enya finisce
per abbracciare la filosofia (spirituale, contemplativa, adulta) della musica
new age, ma da una prospettiva al tempo stesso piu` metafisica (in quanto
colma di richiami al soprannaturale) e antropologica (in quanto straripante
di echi del passato).
Il disco sfoggia cosi` romanze pianistiche come Watermark, che fungono da
ouverture a paesaggi fiabeschi, e inni solenni, d'intensita` quasi religiosa,
come On Your Shore, cantati con tono lirico e austero nel suo limpido
registro di contralto medievale.
La lenta ninnananna estatica di Longships sfiora la trance buddista.
La qualita` paradisiaca del suo sound trionfa nella marcia per percussioni
africane e solfeggi celestiali di Storms In Africa, un capolavoro di
progressione melodica che e` esemplare di come Enya riesca a secernere il
massimo di emozione con il minimo dello sforzo armonico.
Il lato commerciale della sua operazione prende il sopravvento
nella cantilena in crescendo di Cursum Perficio, un saggio di applicazione
delle tecniche minimaliste ai canti gregoriani,
reminescente del coralismo di massa di Atom Heart Mother (Pink Floyd).
Ancor piu` spettacolare e` il crescendo a ritmo di jungla di Orinoco Flow,
destinato a rimanere il suo brano piu` celebre. Il ritmo e` battuto dalle
tastiere piu` che dalle percussioni. Il coro ripete, come sempre, un ritornello
semplicissimo, facendo un uso molto elementare del controcanto.
Il senso di progressione incalzante viene creato da rapide figure di pianoforte
e dal rombo dei tam tam. Quella di Enya e` una musica pochissimo polifonica,
e` un genere di canto che non conosce quasi il contrappunto. Eppure incanta.
Shepherd Moons (WEA, 1991) non ritrova del tutto quella magia, anche se
l'apertura celestiale della title-track, la sonata pianistica di Lothlorien,
il madrigale rinascimentale di Marble Halls (uno dei pochi traditional da lei
ripescati), l'inno medievale di Afer Ventus (un esperimento canoro
insolitamente complesso per lei) e la marcia trionfale di Ebudae
(una versione piu` etnica di Orinoco Flow)
riciclano i suoi trucchi di arrangiamento e la sua arte di aerei contrappunti.
Le sue arie conservano comunque un pathos profondo, talvolta solenni come
un'"Ave Maria", talaltra sottotono come una ninnananna per bambini.
Le orchestrazioni sono spesso classiche (compresi arpa, violoncello e
pianoforte).
Enya ritrova la forma migliore nel valzer di Caribbean Blue, una delle sue
composizioni piu` briose e uno degli apici melodici delle sue divine
filastrocche. L'orchestrazione e` geniale: il contrabbasso tiene il tempo del
valzer, mentre gli strumenti a corda si scatenano in un
tintinnio che imita il clavicembalo baroccos e i violini incalzano come in
un concerto di Vivaldi. Le progressioni del canto, che fluttua in nuvole di
cori angelici, completano la suggestione.
Un'altra melodia brillante e` quella di Book Of Days, una delle sue canzoni
piu` regolari, propulsa da imponenti scansioni di tastiere elettroniche alla
Vangelis.
Nel complesso un tono piu' angelico sfuma ulteriormente il cuore delle sue composizioni.
The Memory Of Trees (Warner Bros, 1995) odora ancor piu` di seconda mano.
The Memory Of Trees e Athair Ar Neamh, per quanto formalmente impeccabili,
non aggiungono davvero nulla, si limitano a rimescolare
tecniche gia` sfruttate diverse volte.
Troppi brani vivono soltanto di riflesso, di ricordi, di dejavu.
On My Way Home e` l'ennesima revisione della progressione di Orinoco.
I vertici del disco sono invece le composizioni piu` insolite: la cantilena
ondeggiante di Anywhere Is (con un accompagnamento minimalista d'orchestra
d'archi che ricorda la musica da camera di Michael Nyman),
e la marcia funebre di Pax Deorum (un sortilegio cantato in tono macabro su
uno sfondo tempestoso di tamburi da tempio egizio e coro da tragedia greca)
aria soave China Roses che nuota in fulgori di clavicembalo e nebbie di
violini.
L'orchestra si fa da parte quando il suo contralto cristallino intona inni
purissimi come Once You Had Gold nello stile del madrigale rinascimentale
che e` sempre stato una delle sue massime ispirazioni.
La delicata romanza pianistica From Where I Am svela forse un ambizione
nascosta, quella della compositrice di musica new age strumentale.
Il sodalizio fra Nicky Ryan e Enya giunge qui al suo apice barocco.
L'arrangiamento e` perfetto, ma spesso non ci sono emozioni a giustificarlo.
I gorgheggi fluttuanti di Enya si situano al confine fra il folk piu' ancestrale
e la musica da chiesa, esplorando cosi' un territorio di registri poco
frequentato nella storia della musica popolare.
Le sue filastrocche (memori di tradizioni secolari nel campo delle ninnananne,
dei sortilegi, dei girotondi, delle lullaby) sembrano provenire da un altro
universo, da un mondo magico e onirico in cui non valgono le leggi terrestri
della gravita`. Enya spesso canticchia sottotono, praticamente priva di
emozioni. La melodia si ripete meccanicamente, come nel piu` rigoroso
minimalismo. Eppure da tanta semplicita` Enya riesce a esumare le spoglia
di qualcosa di ancestrale e di profondamente "umano",
qualcosa che sa di cerimoniali arcaici e di emozioni primordiali,
di qualcosa radicato nella psiche collettiva della razza umana.
Enya ha riscoperto la musica cosi` com'era prima di essere "inventata" dai
musicisti: un puro atto espressivo, un puro suono astratto, prima ancora del
pensiero e della parola.
Paint The Sky With Stars (1997) e` un'ottima antologia, che propone
anche due nuovi brani:
Paint The Sky With Stars,
un inno radioso che si colloca fra le sue piu` accattivanti song rinascimentali,
e Only If, un carillon ripetuto su un incalzante contrappunto di
orchestra
barocca (clavicambalo e violini), che rimarra` forse il suo massimo capolavoro.
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